martedì 24 dicembre 2013

L'Italia pigra dei musei, battuta da tutto il resto del mondo...


Il numero doppio dell'Economist di Natale quest'anno ha un inserto speciale sui musei nel mondo. Contiene un'interessantissima cartina con il numero di musei e il numero di visitatori di alcuni paesi del mondo.

Alcuni dati interessanti:


  • Italia: circa 400 musei, con 33,1 milioni di visitatori l'anno
  • Olanda: 800 musei, 22,3 milioni di visitatori
  • Spagna: 1.500 musei, con 57,5 milioni di visitatori
  • Gran Bretagna: 1.700 musei, con 87,6 milioni di visitatori
  • Germania: 6.300 musei, con 109,6 milioni di visitatori.

Da notare che tutti i paesi citati nella cartina fanno meglio dell'Italia, o per numero di musei, o per numero di visitatori, o, quasi tutti, per entrambi i parametri. Il caso dell'Olanda, in particolare, dimostra che un piccolo territorio può avere un alto numero di musei (e un alto numero di visitatori in proporzione al territorio). La Germania dimostra che è possibile avere un alto numero di musei e un alto numero di visitatori in termini assoluti, pur non essendo "top of mind" per beni artistici e culturali. I dati di Stati Uniti, Canada e Cina confermano la tesi: più musei ci sono, più la gente va a visitarli (se sono bene organizzati).

In pratica, anche nei musei, non basta la qualità delle opere esposte (che in Italia è sicuramente elevatissima, capace di portare alcuni singoli musei a livelli di superstar mondiali), ma conta anche capacità organizzativa, di comunicazione e di attrazione turistica. Un cattivo esempio significativo è quello degli italianissimi Bronzi di Riace, che periodicamente giacciono dimenticati da tutti e che periodicamente fanno notizia per il concetto "come mai sculture così belle non viene nessuno a vederle?" Non sarà per cattiva organizzazione e infrastrutture scadenti?

Il tutto contraddice la famosa affermazione di un famoso ministro italiano: "con la cultura non si mangia".  Forse in Italia, dove è la cenerentola di aziende pubbliche e private. Negli altri paesi europei e del mondo la cultura produce visitatori, traffico commerciale e percentuali di pil, quel prodotto interno lordo che è il totem di ministri e amministratori pubblici apparentemente concreti ma culturalmente arretrati.

lunedì 16 dicembre 2013

Cos'è la Web Tax e per quale motivo, se il PD propone, il gruppo PDL-FI non obietta...

Tax Day - foto di Chuk Holton


Qui alcuni motivi per cui la cosiddetta Web Tax (o Google tax, perché nata soprattutto per contrastare la presunta evasione fiscale di Google nell'area della pubblicità online) è piena di bachi.

Fra i suoi difetti, è anche una proposta che aumenta la pressione fiscale sui consumatori, perché si concentra sul pagamento dell'iva, che è un'imposta che in ultima analisi viene tutta pagata dai consumatori e non dalle aziende, per le quali l'iva è indiffernte (salvo i costi contabili e di gestione) e per alcune aziende addirittura potenzialmente vantaggiosa.


Secondo me succede questo: quando queste proposte le fa il PDL, scatta il riflesso condizionato dello pseudo-antifascismo, e quindi elettori e giornalisti di sinistra si mobilitano contro.

Quando queste proposte le fa il PD (con l'appoggio esterno dell'M5S, in questo caso), al gruppo PDL-FI va benissimo perché sono perfettamente in linea con gli interessi del partito e dei suoi finanziatori, mentre buona parte degli elettori e giornalisti di sinistra non capiscono di cosa si tratti.

Aggiornamento: qui una bella analisi sulla Google Tax, con i veri motivi per cui è stata creata: cercare di difendere lo status quo pubblicitario italiano, in cui la parte del leone la fa la tv (e quindi Rai-Mediaset), ma ci sono importanti convitati (Gruppo Repubblica-Espresso, Corriere della Sera, Rizzoli, La Stampa, Pagine Gialle...).

venerdì 13 dicembre 2013

Detrazioni fiscali per i libri: l'antiquariato progressista del PD

Non sarà un po' troppo hi-tech?
Per "favorire la lettura" il governo ha graziosamente concesso la possibilità di detrarre fiscalmente le spese per libri fino a mille euro per "libri con ISBN" (International Standard Book Number) e fino a mille euro per libri scolastici (sempre con ISBN, si presume).

La detrazione d'imposta è del 19%, quindi si tratta di 190 euro se si acquistano mille euro di libri. In pratica, grosso modo, è uno "sconto 20" di stato, Occorre ovviamente "adeguata documentazione fiscale" (non è ancora spiegato quale: si suppone fattura o scontrino parlante). Non è ancora chiaro da quando sarà fattibile la detrazione, se da subito e per sempre, oppure se per uno specifico periodo.

Ci sono due problemi, collegati fra loro:
  • Sono esclusi gli e-book
  • Quindi l'obiettivo è spingere la vendita di libri cartacei, non libri in generale.
Va inoltre aggiunto che il requisito dell'ISBN esclude una parte non piccola dei libri di micro-editori e buona parte dei libri autopubblicati. Gli ISBN infatti hanno un costo che non tutti i piccoli operatori affrontano.

Il provvedimento è quindi:
  1. Demagogico nelle intenzioni, perché finalizzato a blandire gli intellettuali tradizionalisti e le case editrici tradizionali con ampio catalogo cartaceo
  2. Reazionario, perché penalizza ulteriormente l'acquisto di ebook, già penalizzati dall'iva al 22%
  3. Elitario nei benefici, perché penalizza i piccolissimi editori, favorendo editori medi e grandi
  4. È un aiuto ai librai, non alla diffusione della lettura (soprattutto se emergesse che sono esclusi anche gli acquisti online).
  5. Se poi il provvedimento non esclude la vendita diretta porta a porta, comprenderebbe anche un piccolo conflitto di interessi: il ministro Massimo Bray è stato direttore editoriale dell'Istituto dell'Enciclopedia Treccani, e i prodotti editoriali Treccani vengono venduti (piuttosto aggressivamente) anche porta a porta. È evidente che la parziale detraibilità dell'acquisto diventerebbe un argomento di vendita piuttosto forte a disposizione della rete di vendita Treccani. Senza contare (vedi punto 2) che le enciclopedie cartacee sono diventate obsolete sin dall'invenzione dei cd-rom, per non parlare di Wikipedia (nata nel 2001).
Il costo esagerato degli ebook in Italia.
I libri cartacei hanno in media costi di stampa e distribuzione pari al 40-50% del costo di copertina. All'autore va dal 6 al 15% del costo di copertina (dipende il 6 per i tascabili, il 15% per le edizioni rilegate di autori con forte potere contrattuale. Un autore esordiente può ringraziare la sorte se riceve dal 6 al 10%). È evidente che un ebook dovrebbe costare al massimo la metà del prezzo di copertina de cartaceo (senza comprimere né il margine lordo dell'editore, né la quota destinata all'autore). Invece in Italia buona parte del vantaggio distributivo del libro elettronico viene incamerato dallo stato, con il 22% di iva (il 4% sul cartaceo, con agevolazioni). Un'altra parte viene vanificata dall'avidità o dal conservatorismo di alcuni editori, che tengono i prezzi degli ebook artificialmente alti per non insidiare la vendita del cartaceo, in certi casi probabilmente anche perché influenzati da interessi di stampatori e distributori che temono di perdere business e cercano di frenare il digitale.

Insomma, siamo alle solite: destra o sinistra, i governi italiani in fatto di tecnologia e cultura sono sempre conservatori se non addirittura reazionari.

È evidente che, come minimo, il governo dovrebbe affiancare questi due o tre provvedimenti:
  1. Detraibilità fiscale dell'acquisto di ebook reader
  2. Riduzione dell'iva degli ebook, parificandoli ai libri cartacei
  3. Detraibilità fiscale anche degli acquisti di ebook.
AGGIORNAMENTO: In più, grazie alla normale farragionosità di percorsi legislativi italiani, non vale da subito, ma dal 2014, e ci vorranno DUE decreti attuativi perché entri in vigore. Inoltre occorreranno "scontrino parlante" o fattura per godere delle agevolazioni, cosa che conferma la tesi del conflitto di interesse Ministero-Treccani (se non vengono escluse le vendite di libri porta a porta, cosa al momento improbabile): mentre le piccole librerie non possono godere dell'agevolazione finché non sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, decreti attuativi compresi, i venditori porta a porta di collane economicamente impegnative possono cominciare a prendere ordini per far perfezionare la consegna dei libri dopo l'entrata in vigore della legge.

AGGIORNAMENTO 4 febbraio 2014 - Il "bonus libri" diventa "bonus librai" (Sole 24 Ore) con aggiunta di diverse complicazioni burocratiche (consiglio di leggere qui la ricostruzione e i commenti di Massimo Mantellini).

martedì 10 dicembre 2013

Come disdire il canone Rai, procedura passo passo

Elefante che dorme. Chissà perché, mi fa pensare alla Rai.

Qui ho raccontato le mie traversie per disdire il Canone Rai, con gli ostacoli posti dall'ottusa burocrazia contro l'esercizio di un mio sacrosanto diritto (non possiedo più nessun televisore).

Per aiutare chi si trova nelle stesse condizioni, ecco i diversi passi da fare se si vende o si regala il proprio televisore.


  1. Trovare un amico o conoscente interessato a comprare il televisore o riceverlo in regalo;
  2. Farsi dare tutti questi dati: nome completo, indirizzo completo, codice fiscale, numero di abbonamento Rai;
  3. Scrivere la lettera di disdetta indicando tutti i dati del punto 2 più marca e dimensioni in pollici dell'apparecchio tv regalato o venduto;
  4. Firmare la lettera e farla firmare all'amico;
  5. Spedire una raccomandata con ricevuta di ritorno a Sportello S.A.T - Casella Postale 22 - 10121 Torino
Ad ogni buon conto, consiglio di aggiungere questa nota alla lettera:
Qualora la presente documentazione non fosse sufficiente per formalizzare la pratica, intimiamo di spedire con il mezzo più rapido entro 10 giorni dal ricevimento della presente la modulistica necessaria per il perfezionamento della stessa.

Ecco tutti i dati necessari per la disdetta, utilizzando il testo del modulo che mi hanno mandato (come descritto nel post precedente):


Con la presente chiedo la disdetta e cessazione del canone tv n______ intestato a:__________ per cessione dell'apparecchio tv.

Dichiarazione a integrazione della disdetta
Il/la sottoscritto/a__________ (cedente)
Codice Fiscale: ____
Residente in:____
Provincia:____ via:____
Canone TV n:________

e l/la sottoscritto/a__________ (cessionario)

Codice Fiscale: ____
Residente in:____
Provincia:____ via:____
Canone TV n:________

dichiarano che il sig:____________ ha ceduto a: _______________
Il seguente apparecchio televisivo/i:
1. Marca:___________________ Pollici:___
2. Marca:___________________ Pollici:___
3. Marca:___________________ Pollici:___
$. Marca:___________________ Pollici:___

Inoltre il cedente dichiara di non possedere nessun altro apparecchio presso qualsiasi residenza o dimora propria o di altri componenti del proprio nucleo familiare anagraficamente inteso

e il cessionario dichiara di aver stipulato un nuovo canone televisivo per l'anno in corso con versamento in data_______ (di cui allega fotocopia) OPPURE
di essere già titolare di canone tv n.: _______________________________

Data:____________
Firma leggibile del cedente:______________
Firma leggibile del cessionario:_____________

Sportello S.A.T - Casella Postale 22 - 10121 Torino

In teoria la procedura dovrebbe durare al massimo un mese (i tempi per spedire la raccomandata e ricevere la lettera di conferma). Se ci sono lungaggini ogni passaggio richiede un paio di mesi di tempo, per la farraginosità borbonica della trafila postale. Se è possibile conviene quindi pagare il canone in corso in rate semestrali, in modo da non perdere troppi soldi, visto che - con la consueta correttezza dell'amministrazione pubblica nei confronti del cittadino - i soldi del canone pagato per niente non vengono restituiti.

Qui la procedura per chi invece vuole farsi suggellare l'apparecchio: Canone RAI, così ho sconfitto il Burocratosauro 


Qui l'elenco delle apparecchiature per cui si deve pagare il Canone tv

Attualmente in Italia NON si deve pagare per computer, smartphone e apparecchi radio in case private. Si paga solo per apparecchi tv, videoregistratori con sintonizzatore, chiavette usb con sintonizzatore e apparati simili.



lunedì 9 dicembre 2013

Come disdire il canone Rai (affrontando gli ostacoli del burosauro analogico)

L'amichevole burocrazia che tutela la Rai

Da dieci anni guardo pochissimo la tv, preferendo film e serie tv in dvd per la mia dieta mediatica. Da tre anni, quando mi sono trasferito, non ricevo i canali Rai e vedo malissimo i canali Mediaset perché non ho l'antenna sul tetto. Con il passaggio della Toscana al digitale terrestre (avvenuto diversi anni dopo la Lombardia), ho perso anche la possibilità di vedere La7, che era l'unico canale nazionale su cui, occasionalmente mi sintonizzavo. Finalmente, mesi fa mi sono deciso: devo disdire il canone Rai, ovvero la tassa per il possesso del televisore.

Ho regalato l'unico televisore che possedevo. E ho quindi intrapreso con fiducia la procedura.

Il tortuoso percorso per disdire il Canone Rai. 

Ho preso il libretto di abbonamento e, fiducioso, ho utilizzato l'apposito tagliando (seguendo le istruzioni lì riportate) per comunicare che non possedevo più il televisore. Ho spedito la raccomandata con ricevuta di ritorno l'8 maggio 2013 (non sembra sia possibile farlo online, e anche il fax non è ancora arrivato nel mondo della burocrazia sabauda degli uffici torinesi preposti alla tutela del Canone Rai).

Il 21 giugno 2013 ricevo dalla prima capitale del Regno d'Italia una lettera semplice che dice testualmente:

In riferimento alla Sua comunicazione, si fa presente che la stessa è inefficace per la chiusura del canone TV citato in oggetto, in quanto non contiene gli elementi citati dall'art. 10 del RDL 21 febbraio 1938 n. 246 (convertito nella legge 4 giugno 1938, n. 880), che consente la disdetta nei soli casi di cessione o di suggellamento di tutti gli apparecchi detenuti presso ogni sua residenza o dimora proprie e dei propri familiari anagraficamente conviventi. 
Pertanto Lei rimane obbligato/a al pagamento del canone TV.

Burocratese stretto per dirmi che - pur non avendo più nessun televisore in casa - dovevo continuare a pagare il canone perché non avevo ottemperato un Regio Decreto.

Ho cercato lumi su Internet e ho trovato il Regio Decreto in questione. In pratica, se regali la tv e disdici il canone per questo, devi anche comunicare indirizzo e generalità di chi riceve l'apparecchio (nel RDL si parlava di apparecchi radiofonici, perché la tv non era ancora stata inventata). Tre domande:

  1. Ma non potevano scriverlo nel modulo per le comunicazioni da me usato? 
  2. E se avessi portato l'apparecchio in discarica? 
  3. E adesso, invece di citare un'oscura legge, perché non mi allegate il modulo con tutto quello che devo fare, scrivere, dichiarare?

Mi armo di pazienza, chiedo tutti gli estremi alla persona a cui avevo regalato l'apparecchio (compresi codice fiscale e numero del suo canone TV) e mando tutti i dati per raccomandata AR.

A fine settembre, con data 3 settembre, mi arriva una seconda lettera semplice, più articolata della prima. Non la trascrivo (è lunga mezza pagina fitta fitta) ma in sintesi mi dice:

i dati che hai mandato non sono sufficienti, ci occorre anche la marca del televisore.

Fortunatamente questa volta sono più user friendly: allegano anche il modulo da compilare con tutti i dati, da firmare e far firmare anche al fortunato beneficiario del televisore in dono. Ancora tre domande:

  1. Perché non me l'avete mandato insieme alla prima lettera questo modulo?
  2. Meglio ancora, perché il modulo non lo allegate al libretto dell'abbonamento?
  3. Non è che lo fate apposta per ostacolare le disdette, anche quelle legittime?

Mi ri-armo di pazienza, compilo il modulo in ogni sua parte, indicando anche la marca del televisore, firmo, lo faccio firmare e quindi spedisco con la mia terza raccomandata AR.

Il lieto fine

Finalmente, il 19 novembre, mi arriva una lettera datata 6:

Gentile contribuente,
si comunica che in base alla disdetta presentata e' stata disposta la chiusura di quanto citato in oggetto a decorrere dal 1/2014.
[la "è" con l'apostrofo al posto dell'accento è nell'originale. Non sanno che le tastiere dispongono delle lettere accentate]


Dall'8 maggio al 6 novembre sono sei mesi e tre raccomandate per disdire il canone Rai. E, se non avessi cominciato la procedura in maggio, sarebbe magari anche andata a finire con l'obbligo di pagare comunque il canone 2014, perché l'ottusa decorrenza probabilmente sarebbe scattata dal gennaio 2015!

La complessità della burocrazia italiana è nota. Da questa case history risulta evidente anche la volontà di ostacolare il contribuente-utente-cittadino negli adempimenti, invece di cercare di facilitarlo.

Qui la procedura passo passo con tutte le indicazioni pratiche.

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi e Alfano: "Due partiti is meglio che uan"


Normalmente non sono un dietrologo, però l'operazione Alfano-Berlusconi potrebbe anche essere un disegno strategico. La scissione con nascita dei due movimenti mi sembra troppo sincronizzata. Due partiti possono prendere più voti di uno perché un Partito A + un Partito B consentirebbero di intercettare sia i fedelissimi di Berlusconi, sia coloro che non voterebbero mai PD ma si sono finalmente stufati delle bugie e delle giravolte del Grande Imprenditore. Gli elettori di centro-destra stanchi di Mister B in caso di elezioni potrebbero rivolgersi ad Alfano invece che a Monti, Renzi o altri candidati leader di qualsiasi genere.

C un ulteriore vantaggio, tattico e immediato: adesso Berlusconi con Forza Italia può fare opposizione al governo pur mantenendo un piede dentro, indirettamente, attraverso Alfano e i "dissidenti". Insomma, Berlusconi ha le mani ancora più libere rispetto al solito.

Anche se non ci fosse un disegno consapevole a priori, Berlusconi è comunque un asso nel trarre vantaggio da qualsiasi evento, anche quelli apparentemente più avversi. Il primo vantaggio, fare opposizione al governo che lui stesso ha appoggiato e favorito, sfilandosi surrettiziamente da ogni responsabilità su Imu, tasse, crisi economica, è già evidente.

Inoltre in caso di future elezioni possono verificarsi due risultati: il centro-destra vince, e allora Forza Italia Bis può trovare un naturale alleato nel nuovo movimento di Alfano; oppure il centro destra perde, e allora, per fare opposizione, Berlusconi non ha bisogno di nessun alleato, perché, con la sua potenza economica e mediatica, può comunque esprimere una fortissima opposizione al governo anche con un partito ridotto in termini percentuali. Va inoltre tenuto presente che, allo stato attuale, salvo imprevisti, è molto difficile che Forza Italia scenda sotto il 10-15% dei voti. Se scendesse così tanto sarebbe una grande sconfitta elettorale, ma resterebbe comunqe un partito di peso. E quando il capo è miliardario, editore e proprietario di televisioni, anche col 3% si conta qualcosa. Anche se sta invecchiando.

sabato 31 agosto 2013

Come funziona il marketing in Italia (e gran parte di tutto il resto)

Il libro fondamentale per capire il marketing aziendale e la pubblicità italiana.

"Caro mio, qui è come il Gattopardo. Bisogna che tutto cambi perché nulla cambi."
"Ma no, perché nulla cambi si fa prima a non cambiare un cazzo, da' retta a me."

L'uomo di Marketing e la variante limone, di Walter Fontana

lunedì 26 agosto 2013

Il paradosso dei contenuti: qualità e mediocrità sono anche nell'occhio di chi guarda.

Il ritratto più bello della storia della pittura. Ma non necessariamente per tutti.

Qui un post interessante sul problema della "omogeneità" (sameness) di molti contenuti sul Web.

Ci sono due considerazioni che mancano.

1. Non sempre è possibile o necessario essere originali. Un insegnante che spiega il teorema di Pitagora non è necessariamente originale. Idem se pubblica un suo schema sul teorema come post di un blog di riferimento per i suoi studenti. La differenza è che le sue parole in aula verranno presto dimenticate (salvo che da parte degli allievi attenti); il post sul blog resterà per molti anni visibile su Internet (uguale a tanti altri, ma NON esattamente identico).

2. La "qualità dei contenuti" è un totem Sacro Graal che in genere non ha riferimenti assoluti. Se entro in una libreria con 100.000 libri messi a mia disposizione (alcuni dei quali molto simili fra loro o con scarso valore aggiunto rispetto a titoli analoghi), dopo una o due ore di "browsing" ne esco avendo comprato da 1 a 5 libri: gli altri 99.000 NON hanno contenuti di qualità sufficiente perché io li acquisti (il discorso vale anche se me li regalassero: difficilmente andrei via con più di una decina di libri, sia per questioni di tempo da dedicare alla lettura, sia per questioni pratiche: ho due mani, posso portare una, massimo due borse di libri). Un'altra persona esce con titoli diversi, e così via. Il valore di ciascuno dei 100.000 libri è molto relativo, e cambia da persona a persona, da momento a momento. Tant'è vero che alcuni di essi resteranno per sempre intonsi e invenduti, nonostante le speranze di autori ed editori.

Sono entrambe considerazioni importanti per capire il paradosso dei contenuti: tutti vogliono contenuti di qualità, ma questi sembrano sempre affogati in un mare di roba mediocre. Parte della spiegazione sta anche nel fatto che qualità e mediocrità sono valori decisi nell'occhio (e nella testa) di chi guarda.

mercoledì 26 giugno 2013

"Hai solo la terza media? Bravo, assunto!" - Ecco per quali motivi è una norma scema.

Asino chi si diploma. O chi lo dice in giro.

Circola in diverse versioni la bozza di decreto del Governo Letta per incentivare il lavoro giovanile che prevede agevolazioni per (pare) chi ha meno di 29 anni e ricade in una di queste condizioni:

  1. Chi è disoccupato da almeno sei mesi;
  2. Oppure ha solo il diploma di terza media (sia privo di un diploma di scuola media superiore);
  3. Oppure vive da solo con una o più persone a carico.


Il requisito 2 "non avere diplomi superiori", ovvero avere solo la terza media per avere diritto alle agevolazioni per l'assunzione, oltre ad essere un'idea scema (per quale motivo agevolare chi non ha studiato rispetto a chi è disoccupato?), è anche difficile da verificare: non esistendo un'anagrafe nazionale dei titoli di studio, come fai a "smascherare" un ragioniere o un geometra che dichiarasse di avere solo la terza media? Sembra semplice, ma se il candidato all'assunzione non è ben conosciuto dall'imprenditore o dall'organizzazione sindacale, come minimo ci vuole un detective che scopra se il candidato ha frequentato una scuola superiore e, poi, se e in quale anno ha conseguito il diploma.

Se si volevano agevolare i giovani in difficoltà, bastava tenere conto della prima e della seconda condizione. Chi ha solo la terza media e vive in famiglia, ad esempio, non si capisce perché debba essere favorito rispetto a un diplomato nella condizione uno o nella condizione tre. La regola favorisce gli abusi (con o senza la collusione di imprenditori e sindacati), i futuri contenziosi e anche la dequalificazione del lavoro.

Una stupidaggine dal punto dal punto di vista ideologico e anche dal punto di vista tecnico.

mercoledì 8 maggio 2013

Poste italiane: paghi in anticipo per non avere nessun servizio


La disorganizzazione italiana è un cancro diffuso a tutti i livelli, dall'alta dirigenza all'impiegato allo sportello.

Normalmente acquisto una ventina di francobolli per lettera per averli sempre sottomano se devo spedire qualcosa.

Ai primi dell'anno le Poste Italiane hanno cambiato tariffa, da 0,60 a 0,70, ovviamente con minima comunicazione agli utenti.

Altrettanto ovviamente, i francobolli da 10 centesimi per integrare i francobolli sono introvabili, dai tabaccai che ho visitato, e all'ufficio postale. Per i dirigenti di Poste Italiane è troppo difficile prevedere l'esigenza di integrare i francobolli da 0,60 esistenti...

Dopo due tentativi a vuoto di acquistare francobolli da 0,10 per le mie esigenze, sono andato all'ufficio postale con i miei francobolli da 0,60 per chiedere di cambiarli in francobolli da 0,70, pagando la differenza.

L'impiegato ha rifiutato di cambiarli, sostenendo che "i francobolli non si cambiano". D'altra parte anche questa volta non aveva francobolli da 0,10 da vendere.

Quindi in sintesi:

  1. Se vuoi i francobolli da 10 centesimi, non possono venderteli perché non ci sono.
  2. Se vuoi cambiare alcuni francobolli da 0,60 non puoi farlo, perché "i francobolli non si cambiano" (ma in passato, in altri uffici postali me li avevano cambiati...).
  3. Se spedisci una busta con affrancatura da 0,60, te la mandano al macero (ma quando io ho comprato i francobolli, era quella la tariffa, quindi il diritto di spedire una busta da 20 grammi io l'avevo acquistato e pre-pagato...)
Insomma, paghi in anticipo per non avere nessun servizio.

È una piccola cosa, ma significativa della colossale disorganizzazione dei servizi pubblici italiani.

Conclusione: i dirigenti non pensano a come risolvere il problema dei francobolli già in circolazione quando cambiano le tariffe, gli impiegati fanno muro di gomma nei confronti degli utenti. Come al solito, c'è un'alta percentuale di incompetenti dai vertici alla base.

sabato 4 maggio 2013

"Femminicidio": forse più un problema di età che di genere. Alcune riflessioni sui dati disponibili, e domande per capire meglio.

Studiamo bene i dati.

Premessa: il 90% dei reati violenti sono commessi da maschi fra i 18 e i 45 anni, quindi questo non è un tentativo di sviare l'attenzione, fare benaltrismo o minimizzare. Il problema della violenza è un problema chiaramente maschile con il 90% di responsabilità maschile: è evidente anche dal semplice confronto delle popolazioni carcerarie maschile e femminile.



Però sul tema del femminicidio o femicidio secondo me è opportuno fare delle considerazioni e fare delle domande a cui qualcuno - per esempio sociologi, criminologi e giornalisti - dovrebbe rispondere con analisi e dati, e non con tesi ideologiche.


  1. Secondo alcune stime i "femminicidi", o femicidi, in Italia nel 2012 sono stati 124 (secondo altre sono stati 127). Ovvero circa 100 uomini hanno ucciso 124 donne (in 21 casi l'autore non è stato individuato, in altri un uomo ha ucciso più di una donna), con diversi moventi che però la ricerca non indica. Possiamo presumere il movente sessuale (omicidio in conseguenza di uno stupro che dal male è finito al peggio), la gelosia sessuale e affettiva, la frustrazione per un corteggiamento respinto, ma anche questioni economiche e di eredità. Domanda: nel caso, che c'entrano eventuali questioni ereditarie o economiche con la "violenza di genere"? L'analisi statistica dei moventi è importante per la valutazione dell'emergenza, non basta contare tristemente i cadaveri per un'analisi del fenomeno. Se il femminicidio è l'uccisione di una donna in odio al genere sessuale, la presenza di eventuali moventi di carattere economico cambia il quadro.
  2. Quanti sono gli omicidi in cui donne uccidono uomini? Per valutare pienamente l'emergenza, occorrerebbe fare questo confronto. Per quel che ne so, i delitti "donna uccide uomo" nel 2012 sono stati circa una cinquantina. Se questi dati, che purtroppo sono costretto a citare a memoria, sono giusti, propagandisticamente si potrebbe dire che "i femminicidi sono il 200% rispetto agli omicidi "donna-uccide-uomo" ma statisticamente, sulla popolazione italiana, la differenza in realtà è minima: su 60 milioni di persone i "femminicidi" colpiscono circa lo 0,02% della popolazione mentre gli omicidi "donna-uccide-uomo" riguardano circa lo 0,01. Statisticamente si tratta di numeri entrambi molto piccoli, che possono cambiare - e di molto - semplicemente contando meglio. In meglio o in peggio, beninteso: che sia favorevole o contrario a questa o quella tesi, il confronto fra "femminicidi" e "omicidi donna-uccide-uomo" va tassativamente fatto, perché è dalla differenza fra le due grandezze che emerge l'eventuale "emergenza". E il confronto non deve essere solo numerico, ma anche di analisi sociale del retroterra di vittime e colpevoli: per esempio un fattore importante è anche il ruolo di militari ed ex militari, oppure la disponibilità di un porto d'armi: anche la presenza di armi in casa è un fattore importante nel facilitare delitti violenti, particolarmente quando il movente è passionale oppure il delitto è conseguente a uno scatto d'ira. In ogni caso, il fenomeno donna uccide uomo non è inesistente e va documentato anch'esso.
  3. Il "femminicidio" viene descritto come un'"emergenza", addirittura parlando in questo caso non di 124 "femminicidi" ma di 113 "in meno di un anno", di cui 73 donne uccise dal partner (ma non si dice il movente, che non è secondario). Secondo dati Istat i morti per incidenti stradali in un anno in Italia sono circa 3500-4.000 (trenta volte di più). Guardando una tale sproporzione fra le due grandezze, secondo me viene spontanea la domanda: come mai il "femminicidio" è un'emergenza mediatica mentre i morti sulle strade non lo sono? Negli incidenti stradali muoiono solo uomini?
  4. I morti sul lavoro sono circa 1500 l'anno in Italia, quattro uomini e una donna al giorno contro una donna uccisa ogni tre giorni nel caso del femminicidio. Stessa domanda del punto 3: come mai i 1500 morti sul lavoro (dieci volte i femminicidi) non sono un'emergenza mediatica? Anche qui muoiono solo uomini?
  5. Poi: i colpevoli chi sono? Ok, sono maschi, ma... Sono ingegneri, giornalisti, sacerdoti, artigiani, medici o insegnanti? Oppure fra i colpevoli di "femminicidio" c'è una percentuale significativa (superiore alla media normale) di mafiosi, 'ndranghetisti, pregiudicati, persone in situazioni di degrado sociale oppure immigrati con difficoltà di adattamento alla cultura europea? Nel primo caso, si tratta di un fenomeno preoccupante: uomini "normali", integrati socialmente, che uccidono la moglie, amante, fidanzata, o la donna incontrata per caso: la tesi del delitto di genere diventa giustificata. Nel secondo caso, si tratta di un problema più generale di criminalità comune, di degrado sociale o, infine, di integrazione sociale e culturale di minoranze di migranti (i dati della ricerca citata all'inizio indicano il 15% di stranieri fra i colpevoli: una percentuale non altissima, ma comunque più elevata rispetto alla popolazione di immigrati residente in Italia). 
Fra l'altro, va sottolineato un dato interessante che emerge proprio dalla ricerca citata all'inizio: l'età media degli assassini: 47,3 anni (è un dato elaborato da un'associazione femminile di sostegno).
È un'età media molto elevata per dei crimini violenti, che denota più un problema generazionale che un problema di genere, ipotesi di lavoro che a mio parere è giustificata anche dall'età media molto elevata delle vittime: 46,9 anni. L'età degli assassini è molto superiore all'età media di chi commette normalmente crimini violenti, e anche l'età delle vittime è elevata. Insomma, stando a questi dati, gli uomini che ammazzano le donne in media NON sono giovani: sono anziani e persone di età matura.

Questo tipo di analisi sociologica su vittime e colpevoli andrebbe fatta e, dato il piccolo numero di casi, è grave che non venga fatta.

Aggiornamento: il 12 maggio 2013 è uscito questo post di Fabrizio Tonello, docente di Scienze Politiche a Padova, che sostanzialmente conferma la necessità di indagare meglio i numeri dei femminicidi.

Aggiornamento: qui un'interessante analisi dei dati con i confronti fra Italia e paesi europei.

venerdì 3 maggio 2013

Laura Boldrini, criminalizzatrice del web, ennesimo nome di un lungo elenco bipartisan

Ma questi politici, uomini e donne, sanno di cosa parlano, quando parlano di Internet?
Laura Boldrini: Favorevole a leggi speciali su Internet

Laura Boldrini in questa intervista a Concita De Gregorio chiede leggi speciali per il Web. Non è il primo esponente delle Istituzioni a farlo e non sarà l'ultimo, basta ricordare il caso della cosiddetta "Legge bavaglio" , legge presentata più volte in varie versioni dal governo Prodi e dal governo Berlusconi, e di cui i primi firmatari furono Clemente Mastella e Giuliano Amato, per poi ricomparire anni dopo a firma di Angelo Alfano. Non esattamente i nomi dei personaggi più illuminati e progressisti della Repubblica Italiana.

La domanda a cui dovrebbe rispondere, e qualche giornalista dovrebbe porle e incalzarla, è questa: è in mala fede, oppure non capisce come funziona Internet? È una domanda che andrebbe fatta anche a numerosi suoi colleghi, a destra e a sinistra, a cominciare da Maurizio Gasparri, autore di una legge sul sistema radio televisivo che ha fortemente penalizzato, negli anni, lo sviluppo e la diffusione di Internet in Italia spostando investimenti pubblici su una tecnologia rudimentale e già obsoleta come il digitale terrestre televisivo. Oppure a Giuseppe Pisanu, autore di un decreto legge anti-terrorismo che ha penalizzato la diffusione del wi-fi libero in Italia e che lo stesso Pisanu, pochi anni fa, ha ritenuto inefficace.

La "minaccia" è già un reato, e online generalmente è PIU' FACILE da perseguire che offline, perché online restano un sacco di tracce. Lo stesso articolo lo dice: A ciascuna minaccia corrisponde un nome e un cognome, un profilo Facebook, l'indirizzo di una pagina Internet.  E quindi? Di che leggi speciali ha bisogno? Anche il presunto anonimato del Web, se un utente non è più che esperto tecnicamente, è spesso più illusorio che reale.

Chi chiede leggi speciali per arginare i presunti eccessi di Internet (un'infrastruttura che esiste ormai da trent'anni e solo in Italia viene ancora considerata una strana novità) o è ignorante, o è in mala fede, o non ha capito come funziona Internet.
Maurizio Gasparri: anche lui favorevole a un controllo su Internet

Aggiornamento, 1: Laura Boldrini ha fatto parziale retromarcia, usando anche la tecnica del "sono stata fraintesa". Ottime controargomentazioni alla retromarcia-chiarimento-smentita qui. Mi limito ad evidenziare un'osservazione che ho fatto anche io: se Concita De Gregorio non si è inventata questi concetti, Laura Boldrini ha detto:
"So bene che la questione del controllo del web è delicatissima. Non per questo non dobbiamo porcela. Mi domando se sia giusto che una minaccia di morte che avviene in forma diretta, o attraverso una scritta sul muro sia considerata in modo diverso dalla stessa minaccia via web."

Se una persona dice: so bene che la questione del controllo del web è delicatissima, ma non per questo non possiamo porcela, ed è il presidente della Camera, sta parlando di legge, di provvedimenti legislativi, o di qualcosa del genere, e comunque di controllo. Se due giorni dopo smentisce di aver parlato di leggi speciali, sta facendo la furba con le parole. Oppure, altra ipotesi, ha scoperto Internet l'altro ieri e sta facendo discorsi naif.

Aggiornamento, 2: La lotta contro la violenza sul web comincia a dare i primi risultati: la polizia postale indentifica un pericoloso violento che ha postato una foto di Laura Boldrini (Huffington Post). Qui il racconto di prima mano del blogger indagato (da cui risulta un po' di esagerazione giornalistica nei resoconti dei giornali "seri").

martedì 23 aprile 2013

Lezioni di Giornalismo (35) - Se parli di Twitter e Internet, meglio essere incompetenti

Stamattina c'è stata la solita clamorosa notizia degli "hacker" che hanno "manipolato il sito" di un'agenzia di stampa statunitense.

A Radio 3 Mondo la giornalista in onda, leggendo le notizie dai siti stranieri ha spiegato "gli hacker hanno manipolato il sito dell'Associated Press e hanno mandato due tweet" con la falsa notizia di un'esplosione alla Casa Bianca.

È evidente che, anche dal grossolanissimo resoconto della giornalista, le cose sono andate in modo molto più banale, e tecnicamente comprensibile anche per un inetto tecnologico, a meno che non sia totalmente ignorante delle cose della rete:

Qualcuno ha scoperto, si è impadronito o è venuto a sapere in qualche modo la password dell'account Twitter dell'Associated Press e ha mandato due tweet. 

Un incidente che, in diversi modi, potrebbe capitare a chiunque.

Anzi capita continuamente, visto il modo con cui la gente elabora le password dei servizi online che utilizza, spesso condividendole fra più persone. Molto più banale che "manipolare il sito".

Questa la spiegazione più probabile. È anche possibile che sia stato craccato l'account Twitter con altri mezzi rispetto alla sottrazione della password, ma in questo caso ad essere "hackerato" sarebbe stato Twitter.com e non "il sito dell'Associated Press", con possibili conseguenze molto diverse e molto più ampie di un semplice paio di falsi tweet. Ovvero, in quel caso, tutti gli account Twitter sarebbero potenzialmente in pericolo, almeno per qualche tempo.

La notizia caso mai porta all'attenzione un problema sulla sicurezza generale di Twitter: nato come account per utilizzo personale, attualmente la sua sicurezza è difficilmente gestibile per account di tipo aziendale che devono essere utilizzati - con diversi livelli di accesso  magari 24 ore su 24 - da più persone che vi accedono sia utilizzando la password, sia utilizzando altre applicazioni come Hootsuite, Tweetdeck, Facebook e altre.


mercoledì 17 aprile 2013

Voto online e democrazia diretta: perché è ancora troppo presto


Il voto online sembra una procedura facile e veloce, per chi non ha mai studiato il problema.

In realtà gestire consultazioni, referendum e voti online è tutt'altro che facile e richiede un'infrastruttura che ancora non esiste, particolarmente dal lato utente.

Molti profani sono ingannati dalla confusione fra sondaggi, inchieste demografiche e votazioni. Gestire un voto, un referendum o una qualsiasi consultazione attendibile è molto più difficile e complesso che gestire un semplice sondaggio online, scientifico o no.

Mentre gestire un sondaggio non scientifico è facilissimo (molti siti lo fanno, e persino singoli utenti) e gestire un sondaggio con attendibilità scientifica è solo un po' più complesso ma basta rivolgersi a degli esperti, di sondaggi & di tecnologia informatica, gestire un voto o un referendum online è diabolicamente complesso. E infatti tutti i sistemi di "televoto" in uso vengono dedicati a questioni relativamente poco importanti (il Festival di Sanremo, trasmissioni televisive) e sono basati sul telefono, ma non garantiscono al 100% che un call center non possa mettere a segno voti multipli in gradi di influenzare, anche solo marginalmente, la consultazione. E comunque, gli utenti motivati che dispongono di più telefonini e una linea domestica possono impunemente dare due o tre voti allo stesso cantante, cosa che in una consultazione politica non può essere ammesso.

Il grosso problema è questo: garantire l'autenticità del voto insieme all'anonimato.

I modi comuni per identificare un utente in rete sono diversi, ma nessuno è univoco né perfetto. Ad esempio:

  1. Assegnare un identificativo e una password. Ma nessuno può garantire che questi vengano usati solo da quella particolare persona. Inoltre una stessa persona può procurarsi più identificativi, se vengono assegnati in forma anonima:  vedi ad esempio gli acquisti online.
  2. Utilizzare il telefonino per votare. Il telefonino è un modo abbastanza buono per identificare un utente: il numero è personale, anche l'apparecchio ha un numero di serie univoco. Il problema è che una stessa persona può possedere o avere accesso a più di un telefonino. Perché il telefonino possa essere usato in modo affidabile per un voto online esteso a tutta la popolazione, occorrerebbe che tutti i maggiorenni dispongano di un telefonino; e che questo venisse assimilato a un documento di identità (ma solo uno dei telefonini accessibili a una data persona). 
  3. Identificare la persona con un indirizzo e-mail univoco. Stesse problematiche del punto 1 e 2. Inoltre larga parte della popolazione italiana e mondiale non usa ancora l'e-mail, mentre una parte della popolazione dispone di innumerevoli indirizzi e-mail.
  4. Identificare la persona con il codice fiscale. È facile evitare che uno stesso codice fiscale voti più volte, ma è difficile evitare che una persona utilizzi diversi codici fiscali di persone non interessate al voto oppure conniventi per dare voti multipli.
  5. Identificare una persona con la carta di credito o con il bancomat. Stesse problematiche del punto 2.
  6. Attribuire a ciascun cittadino una tessera elettronica non falsificabile utilizzabile come mezzo per votare (sistema analogo alla scheda elettorale).
Resta però il problema dell'anonimato del voto: per la natura stessa del software, che se non è aperto è noto solo a chi lo ha creato, l'unica possibilità è fidarsi del produttore delle macchine hardware-software di gestione.

Per disporre di un sistema di voto online inoltre non basta "mettere su il sito" e attendere che la gente voti. Esiste anche un ulteriore problema, non trascurabile: la gestione del picco di traffico sul sito, cosa che si è vista con l'imprevisto successo dell'ultimo censimento nazionale, in cui il sito dell'Istat ha avuto difficoltà nel gestire l'afflusso di cittadini desiderosi di compilare online.

In sintesi: avere un sistema di voto online sicuro non è impossibile, però è soggetto a due esigenze contrapposte e difficili da mediare:
  • Sicurezza. Più il sistema è sicuro, più è difficile da usare, oppure richiede soglie di accesso difficili da implementare e mantenere (esempio: un terminale sicuro in ogni casa, un identificativo sicuro per ogni adulto, oppure soluzioni software basate sulla crittografia a chiave pubblica che non richiedono oggetti hardware ma possono essere complessi da gestire anche per utenti evoluti, figuriamoci gli utenti semi-analfabeti).
  • Anonimato. Più il sistema garantisce l'anonimato del voto, più è difficile garantirsi contro gli abusi, dagli hacker che insidiano il sito, ai voti multipli.
Anche il voto cartaceo non è esente da problemi e brogli elettorali. Ma per ora allestire duemila gazebo come per le primarie del PD (utilizzando migliaia di volontari), o allestire le sedi elettorali in tutte le scuole per il momento è molto più facile e relativamente più sicuro.

Aggiornamento: anche Paolo Attivissimo parla di voto elettronico, qui, in un post scritto qualche giorno dopo questo che sostanzialmente conferma, in altro modo e da altri punti di vista, i dubbi che ho espresso su utilizzabilità e sicurezza del voto elettronico e online.

lunedì 8 aprile 2013

Lezioni di giornalismo (34) - Quando si parla di soldi, nei titoli confondi lordi e netti

2500 euro netti contro 6000 euro lordi...
La Repubblica dell'8 aprile 2013 esce con un articolo che nel titolo attacca frontalmente il Movimento 5 Stelle per aver tradito la promessa di autoridurre lo stipendio dei propri parlamentari a 2500 euro netti al mese. Ed equivoca su netto e lordo.

Beppe Grillo chiarisce subito sul blog qui. Si parla di 2500 euro netti, ovvero 5000 lordi.

Naturalmente si può obiettare che il blog di Beppe Grillo è di parte e non è autorevole. È vero. Ma anche Repubblica lo è. Morale: quando lo dice La Repubblica, controllare sempre anche un'altra fonte o due, consiglio che vale anche per le notizie trovate in rete.

D'altra parte il vizio dei titoli malandrini o grossolanamente sensazionalistici ce l'hanno un po' tutti: Corriere della Sera, il Giornale, Libero, L'Espresso, i giornali locali...




domenica 7 aprile 2013

Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane: i tre sabotatori dell'Italia moderna


La prova dell'inadeguatezza della classe dirigente italiana è data dall'osservazione di tre infrastrutture che siamo talmente abituati a considerare di livello scadente che non ce ne accorgiamo neppure più: Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane.

Per descrivere la situazione di Alitalia basta un acronimo, coniato decenni fa: A.L.I.T.A.L.I.A.: Always Late in Take off, Always Late in Arrival. Sempre in ritardo al decollo, sempre in ritardo all'arrivo. La compagnia aerea è in stato praticamente fallimentare ormai da anni, e dopo diversi salvataggi di governo resta sempre un esempio di cattiva gestione e cattivi servizi.

Di Trenitalia tutti hanno esperienza. I treni pendolari sono indecenti, lontani da qualsiasi standard europeo. I treni a lunga percorrenza funzionano meglio, ma con l'incognita "stai fermo un giro" sempre pronta ad uscire.

Colpetto di grazia all'editoria italiana.

Poste Italiane è il servizio più quotidiano, quello che fa meno notizia ma che ha un impatto più subdolo. Ad esempio, dopo anni di riduzione del servizio di recapito della posta, dal 2011 Poste Italiane ha deciso di non svolgere più il recapito postale il sabato mattina. Adesso sta eliminando gli uffici periferici, quelli essenziali per il servizio universale e che spesso rappresentano l'unica struttura pubblica presente in un piccolo comune o in una piccola frazione.

L'eliminazione del recapito al sabato sembra una cosa da poco (che vuoi che sia? quel che non arriva sabato arriverà lunedì) ma in realtà, dopo anni di disservizi, i costi fra i più elevati d'Europa e i regolamenti fra i più farraginosi, probabilmente è stato il colpo mortale al settore degli abbonamenti a giornali e periodici.

Nei casi in cui una combinazione virtuosa lo consentiva, gli abbonati di Milano, Roma e molte altre città avevano spesso la fortuna di ricevere (come succede in gran parte d'Europa) il proprio settimanale il sabato mattina, il giorno dopo dell'uscita in edicola. Questo significa poterlo leggere con comodo nel weekend (è questo il motivo per cui i settimanali di informazione escono in edicola il giovedì o il venerdì). Adesso, nel 100% dei casi, è garantito che non arriverà niente prima di lunedì.

Sembra una cosa da poco, e sembra anche una cosa un po' nostalgica (qualcuno obietterà: "sì ma adesso il settimanale me lo leggo sull'iPad"), invece è un colpo all'editoria italiana il cui impatto è probabilmente è paragonabile a quello del disegno di legge "Intercettazioni". Se i giornalisti italiani capissero di marketing e direct marketing, si ribellerebbero loro, senza aspettare gli "indignados".

Alitalia, Trenitalia e Poste Italiane non sono un castigo divino da tollerare con pazienza e rassegnazione. Sono i tre sabotatori che contribuiscono da decenni a tenere l'Italia nella situazione di arretratezza che vediamo.

giovedì 4 aprile 2013

L'Italia è semplicemente governata male. Da 150 anni.

I problemi dell'Italia sono semplicemente disorganizzazione e malgoverno.

Ci sono voluti anni per accorgersi che lo stato paga tardi i fornitori. E questo per semplice disorganizzazione e cattiva gestione: mentre le grandi aziende possono trarre ingiusti vantaggi finanziari dal fatto di trattare i fornitori come banche loro malgrado, le istituzioni pubbliche in genere pagano tardi per lungaggini burocratiche, cattiva gestione della liquidità, cattiva gestione delle priorità organizzative.

Poi, ci sono voluti anni per arrivare a prendere in considerazione la soluzione più ovvia fra le possibili soluzioni: compensare i crediti con le tasse.

Ad ogni livello, dal Quirinale all'ultima aziendina, e con rare eccezioni, in Italia tutto è sempre barocco, complicato, più lungo del solito fa fare o da ottenere. Semplice disorganizzazione, talmente pervasiva che non ce ne accorgiamo neanche più.

martedì 22 gennaio 2013

Canone TV: balzello ricco non ci rinuncio. Ecco un semplice motivo per cui dovrebbe essere abolito subito...

Sia il caso italiano sia il caso tedesco del canone tv dimostrano che governi e classe politica quando impongono una tassa, difficilmente ci rinunciano.

In Germania il Canone TV è stato esteso d'autorità a tutte le famiglie: chi possiede un immobile deve pagare il canone, indipendentemente dal fatto che abbia un televisore, o lo guardi.

In realtà si dovrebbero prevedere due casi:
  1. Se un servizio pubblico è destinato a una minoranza di utilizzatori, potenziali o effettivi, dovrebbero pagarlo solo questi, del tutto o in parte. Avviene ad esempio con la sanità, l'istruzione e i trasporti pubblici: parte delle infrastrutture sono pagate dalla fiscalità generale, parte dall'utilizzatore effettivo al momento dell'utilizzo, con biglietti, ticket e rimborsi parziali.
  2. Se un servizio pubblico è destinato a tutti o comunque alla grande maggioranza della popolazione, dovrebbe essere finanziato dalla fiscalità generale. Succede ad esempio con la pubblica sicurezza, l'esercito, la protezione civile.
Nata come elettrodomestico di lusso, posseduta da poche famiglie negli anni 50 e 60 del secolo scorso, la tv oggi è posseduta dal 90% delle famiglie in quasi tutta Europa. È quindi diventato un servizio destinato a tutti che viene finanziato da una tassa speciale.

Il che è un controsenso antieconomico e irrazionale. 

Nel caso italiano, 10 milioni di canoni RAI da pagare sono 10 milioni di atti fiscali la cui esecuzione, verifica ed eventuale perseguimento di violazioni - se costassero in media solo 10 euro a canone - costa alla collettività 100 milioni di euro per la sola gestione e contabilità. Senza contare il tempo perso dalle famiglie (mezzora ciascuna sono 5 milioni di ore), l'obbligo di conservare le ricevute, e gli inutili contenziosi, che portano questo costo a valori molto più alti.

È evidente che - tanto nel caso tedesco quanto in quello italiano - qualsiasi governante ragionevole abolirebbe la tassa speciale e la farebbe rientrare nella fiscalità generale.

Che ne pensi?

giovedì 3 gennaio 2013

Perché Berlusconi non sa fare politica. Né l'ordinaria amministrazione.

Silvio Berlusconi è stato una figura di primo piano dal 1994 ad oggi. Ha governato per lunghi anni, almeno 10 su venti, e gli altri anni è stato il principale protagonista dell'opposizione.
Il suo governo nel 2011 è stato "commissariato" e sostitutito dal Governo Monti in ultima analisi anche come conseguenza del suo scontro politico, all'interno del suo partito, con Gianfranco Fini, perché lo strappo ha portato via molti voti alla maggioranza parlamentare che sostenava il governo Berlusconi.

Lo scontro politico Fini-Berlusconi del 2010-2011 può essere assimilato allo scontro politico Renzi-Bersani del 2012. In entrambi i casi un esponente politico di minoranza (o emergente, come nel caso di Matteo Renzi) voleva contare di più nell'ambito delle strategie di partito. Nel caso Renzi-Bersani, anche con molta maggiore aggressività rispetto a Gianfranco Fini nei confronti di Berlusconi.
A cose fatte, si può osservare che Pierluigi Bersani ha gestito lo scontro politico con ben maggiore competenza e abilità rispetto a Berlusconi. Sottoponendosi alle primarie, Bersani ha sì corso il rischio di perdere la leadership del partito, ma (anche usando con abilità regole, strutture e appoggi di partito) ha poi vinto lo scontro in modo netto (notare che io personalmente sono critico su Bersani, e non ho approvato il modo di gestire le "regole" delle primarie, per cui il mio non è un elogio acritico di un "bersaniano" convinto).

Berlusconi al contrario, proprio per non cedere alcun terreno, ha perso lo scontro raggiungendo una vittoria di Pirro con l'espulsione di Fini, ha perso la solidità del partito e persino, come già detto, ha posto le basi per indebolire in modo fatale il suo governo.

In sintesi il confronto parallelo delle vicende Fini-Berlusconi e Renzi-Bersani secondo me confermano una sostanziale incapacità e incompetenza politica di Berlusconi. L'ex primo ministro e presunto "Grande statista" ha una grande abilità propagandistica, molto aiutato dal fatto di avere tre televisioni e due quotidiani di sua proprietà diretta e indirietta, e dal fatto di avere numerosi alleati in Rai.

Però dal punto di vista della politica vera, non sa né governare il Paese (lo dimostrano i risultati deludenti di tutti i suoi governi) né governare il suo partito. Probabilmente, mentre è un maestro negli escamotage tattici e propagandistici in situazioni di emergenza ("Avete capito bene: aboliremo l'ICI"), per quel che riguarda la gestione ordinaria, non sa neanche governare le sue aziende. Berlusconi un giocatore di poker di talento ma che si annoia durante gran parte della partita, mentre Bersani è un giocatore di scacchi infaticabile (che però ha il difetto, nel 2012, di pensare di giocare ancora a scacchi contro la Democrazia Cristiana per quel che riguarda la politica esterna al suo partito)

Contrariamente all'immagine molto coltivata di infallibile imprenditore di successo, diverse iniziative  di Berlusconi sono state disastrose (l'acquisto del gruppo Standa, il lancio di Pagine Utili), nonostante risorse quasi illimitate. Inoltre il gruppo Fininvest-Mediaset nel 1994, al momento dell'ingresso di Berlusconi in politica, era in gravissima difficoltà economica. Successivamente Mediaset ha avuto numerose fasi di crescita, con la tendenza a crescere quando Berlusconi era capo del governo, e la tendenza a stagnare (ma senza correre rischi come quelli dei primi anni novanta) quando Berlusconi era all'opposizione.

Probabile segno che l'ingresso di Berlusconi in politica ha portato benefici al gruppo Mediaset, sia per gli indiretti vantaggi dati dal fatto di avere influenti amici al governo, sia per il fatto di aver tenuto Berlusconi indaffarato altrove e lontano dall'ordinaria amministrazione.

Aggiornamento: un'interessante conferma alla mia tesi ("Berlusconi non sa fare politica") viene da The Front Page, in cui testualmente, in un inciso, in questo post su Gianfranco Fini si dice: "Berlusconi può anche avere espulso Fini dal Pdl e vinto nel dicembre 2010 il braccio di ferro sulla fiducia con il presidente della Camera, ma da quel momento non è più stato in grado di governare e di tenere insieme il partito."